“Il mistero nel mondo è il visibile, non l’invisibile”, sentenziava acutamente Oscar Wilde; mentre il grido atterrito di Michelangelo davanti al suo Mosè, “parla!” che cosa era, se non la coscienza dell’estraneità del suo creatore davanti all’enigma della sua creatura? E’ il mondo delle apparenze, dunque, che ci dà il senso del mistero e dell’occulto. E mentre l’intelligenza s’affanna a penetrare e sciogliere i segreti della natura e del mondo, l’umanità, pur mostrandosi felice fruitrice delle scoperte e del progresso scientifico, sembra voler prenderne ogni tanto le distanze, per riaprire la breccia alla fantasia già dismessa e rottamata dai razionalismi di comodo. Di tutte le spinte ultrarazionali da cui è mosso l’essere, la magia è sicuramente quella che esercita la maggior pressione, da sempre e ancora oggi, in pieno impero della scienza: lo sta dimostrando la proposta di una “Storia della magia” fatta da RaiTre, l’unica rete, credo, che sponsorizza la cultura, quando non si lascia trascinare dalla bagarre politico-elettorale.
La quarta puntata di ieri ha offerto molteplici spunti di riflessione, soffermandosi sulle sette esoteriche: in particolare, sui sapienti biancovestiti Rosacroce e, en passant, sull’ordine della Giarrettiera, anch’esso, pare, a sfondo esoterico. Le personalità rivisitate in chiave magica sono tra le più note: a parte Paracelso il quale intuì precocemente che la medicina, nei migliori dei casi, è un’arte magica, la rubrica ci ha riproposto Bacone e Shakespeare e, di quest’ultimo, non solo il Prospero di La Tempesta che parla con gli spiriti, ma anche Amleto (incarnato nel biondo, bello e di gentile aspetto sir Lawrence Olivier) che tradisce influssi misterici: “Essere, non essere … forse sognavo …”.
Tuttavia, la più grande curiosità ce l’ha riservata la rilettura de “La ballata degli impiccati” di François Villon (1431-1463) nei versi più scopertamente naturalistici: “Voi ci trovate qui appesi in cinque e sei…”, dove, abbandonando l’ottica letteraria e privilegiando quella esoterica e numerologica, ci accorgiamo che la somma aritmetica di cinque e sei, più l’io narrante fa dodici che nei Tarocchi è l’impiccato (l’impiccagione per i piedi, a testa in giù, era la pena inflitta ai debitori insolventi, come fu appunto lo stesso Villon, più volte condannato per la sua vita sregolata e, probabilmente, per i debiti di gioco). Scopriamo, così, che colui che è considerato uno dei pilastri del realismo era un poeta esoterico ed ermetico, secondo la migliore tradizione trobadorica del Medio Evo, così come furono esoterici ed ermetici alcuni tra i grandi poeti simbolisti e maledetti del tardo Ottocento che dai trovatori si lasciarono suggestionare, primo tra tutti Mallarmé. In verità, tralasciando categorie e definizioni, utili e inutili allo steso tempo, è ogni creazione artistica -compresa quella del Padreterno- che suggerisce il mistero, così come ogni scoperta scientifica ci pone davanti all’immensità dell’infinito, insondabile, imperscrutabile nella sua totalità, malgrado le continue conquiste ad opera dell’umano intelletto: è il mistero dell’essere venuto dall’eternità con l’ansia di farvi ritorno, in un modo, o nell’altro. E dunque, mentre la scienza cercherebbe invano di aprirsi una strada verso il mondo invisibile, ultrasensibile, ultrarazionale, restando “un carcere dove è rinchiuso il futuro”, la poesia, la letteratura e l’arte sono giunte a scommettere sulla trascendenza attraverso le opere e i personaggi destinati a sopravvivere alla vita dei loro creatori e ad assumere in proprio il mistero di un’autonomia vitale (1 aprile 1994).