La Serva Padrona, un gioiello di opera buffa che Gian Battista Pergolesi compose -secondo il gusto del tempo- come intermezzo all’opera seria Il Prigionier Superbo, ebbe un grande successo, l’unico che riportò il giovane musicista morto a ventisei anni. L’opera seria cadde presto in oblio, mentre l’intermezzo continuò in autonomia il suo trionfo ed è giunta fresca e fragrante fino a noi per procurarci piacere. In verità, l’idea di inserire un’opera nell’opera era nata molto prima, nelle corti italiane, quando per alleggerire la tensione dell’ascolto furono inseriti, tra un atto e l’altro del melodramma, balletti e parti musicali che finirono, spesso, per costituire il centro principale di attrazione dello spettacolo (L’usanza sopravvisse fin nel secolo del Romanticismo, soprattutto in Francia: Giuseppe Verdi dovette comporre intermezzi di balletti per adattare le sue opere alle esigenze spettacolari del gusto parigino).
Oggi le corti aristocratiche e intellettuali non esistono più e lo spettacolo moltiplicato e continuativo -24 ore su 24- si è trasformato in quiz, telenovelas, gossip pseudo-salottiero, o da trivio; tuttavia si è mantenuta fortunosamente l’idea dell’intermezzo rivisitata e certamente adeguata alle esigenze consumistiche, con criteri estetici più evoluti e rispondenti alle attese e al gusto delle masse televisive. E così, alle favole pastorali, ai balletti, ai madrigali, alle opere buffe, sono succeduti gli “stupendi” spot pubblicitari conditi con tutti gli ingredienti spettacolari, sviluppati a dismisura per compensare la brevità della durata e poter giungere più rapidamente ai destinatari. D’altronde, aver portato il teatro in Tv e aver ridotto lo spettacolo a cronaca, o a sceneggiata televisiva, avrebbe sancito la morte della fantasia: ecco dunque, il sano principio dell’economia naturale con il recupero di quegli intermezzi antenati per ridare spazio all’immaginazione: il marchio di un caffè produce per incanto aromi inebrianti che ci conducono su, su, fino in Paradiso, al cospetto del Padreterno in persona che sorseggia con piacere il nettare terreno, mentre spericolate sigle telefoniche ci trascinano a gara in favolose lande remote e inaccessibili, ma conquistabili con il telefonino; i corsi universitari, invece, si trasformano in voli low-cost verso la conoscenza e il sapere assorbito senza la gogna degli studi e l’inutile lungaggine di una regolare frequenza … .
Nei nostri spot c’è tutto: musica, danza, lirica, recitazione e soprattutto un ottimismo illimitato legato ai beni di consumo reclamizzati e trasmesso dalle tonalità gaudiose di voci calorose, echi di una felicità (leggi stupidità) che solo può offrire l’acquisto di questo o quel prodotto, quando non è addirittura osannato nell’acuto di Pavarotti: Vincerò. Se, poi, ci troviamo davanti a interpreti del calibro, per esempio, dei sex symbol George Clooney, Richard Gere, o Angelina Jolie, ci rendiamo conto che La Serva Padrona di Pergolesi ha fatto scuola e gli odierni intermezzi, cioè, gli spot pubblicitari, si sono imposti sugli show principali, fino al punto che possono interromperli a volontà per fissarsi nella fantasia dei teleutenti bramosi di belle immagini e di gettare alle ortiche gli orripilanti prodotti di intrattenimento televisivo (8 ottobre 1994).